La Terra cava di Halley
364 anni fa nasceva Edmond Halley, uno sfegatato nerd delle stelle, ma di quelli bravi. Nonostante sia principalmente ricordato per la cometa che porta il suo nome o per il suo successo nel dimostrare empiricamente la validità delle leggi di Newton, ci sono anche altre ragioni per cui tutti noi dovremmo nutrire stima nei confronti di quest'uomo: la prima di queste è senz'altro l'aver preso una cantonata pazzesca, ma comunque elegantissima e suggestiva: l'ipotesi della Terra cava.
Nonostante già nell'antichità molti pensatori si fossero cimentati nell'immaginare vaste aree sotterranee del nostro pianeta (si pensi all'Ade, alla Gehenna, all'Inferno), Halley fu il primo a farlo per ragioni scientifiche. Oltre ad essere un nerd delle stelle, era infatti anche un appassionato di magnetismo con abitudini da esploratore: le carte geografiche erano il suo pane quotidiano ed il magnetismo terrestre uno dei suoi principali interessi, tanto che se ne interessò dalla giovinezza alla morte.
Per giustificare alcune anomalie nella rilevazione del campo magnetico terrestre, Halley pensò che la terrà potesse consistere di un involucro esterno avente spessore di circa 800 km sostenuto da una serie di altri involucri concentrici separati tra loro da spazi cavi e pieni di gas. Ipotizzò che l'ultima di queste atmosfere, quella che separava la crosta su cui viviamo da quella subito inferiore, fosse la fonte delle fuoriuscite di gas che avrebbero causato l'aurora boreale. La rotazione indipendente e differenziata delle sfere cave interne al pianeta, invece, avrebbe fornito una spiegazione plausibile alle anomalie di campo.
Come sappiamo dalle più recenti rilevazioni e dai modelli attuali, le cose non stanno affatto come Halley le aveva pensate, ma ciò non vuol dire che si sia trattato di un contributo inutile al discorso sul geomagnetismo: anzi, spesso le esplorazioni - di cui Halley era esperto - procedono per tentativi e quelli fallimentari contribuiscono al raggiungimento della meta tanto quanto quelli riusciti. Nel caso della più grande esplorazione umana, che è quella scientifica, questo principio vale doppiamente.
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