Ultimamente, si utilizza il termine AI a sproposito e basta che qualcuno inserisca un minuscolo pezzo di codice che elabori qualcosa col machine learning nella parte più remota della pipeline che già si dà alle stampe quella magica coppia di vocali. Ma NON è questo il caso.

Per arrivare al risultato finale, è stato impiegato un algoritmo piuttosto avanzato di deep learning (una tipologia particolare di machine learning) che si occupa di formulare ipotesi predittive sulle caratteristiche chimico-farmaceutiche delle sostanze presenti in un database senza avere la minima informazione in merito sulle molecole stesse. L'algoritmo, cioè, effettua un'ipotesi a priori, basandosi esclusivamente sulla struttura molecolare ed i descrittori calcolati da essa.

Come in tutti i casi in cui parliamo di machine learning, l'algoritmo va prima allenato (fase di "training") con un database strutturato in maniera identica a quelli che gli saranno poi proposti in fase di produzione. Poiché in questo caso si voleva dedurre l'attività antibiotica delle molecole, è stato dato in pasto un database contenente 2335 molecole con attività antibiotica conosciuta, tra cui erano presenti 300 antibiotici approvati per il commercio. Il vantaggio di fare una cosa simile è che, dando alla macchina solo le molecole e senza spiegarle come interpretarle (cioè senza etichettare i vari gruppi funzionali, per esempio), essa dovrà necessariamente imparare dall'"osservazione" ed individuare dei pattern comuni che non è detto siano uguali a quelli che noi utilizziamo comunemente, nel ragionare di chimica. Anzi, è molto probabile che i pattern siano piuttosto astrusi e descritti da funzioni assolutamente ineleganti, sia per estensione che per l'imbarazzante quantità di variabili: ma il bello è che funzionano e - a volte - funzionano benissimo.

Da un altro database di 6000 molecole, infatti, l'algoritmo ha individuato 100 molecole interessanti, di cui una che è già in sperimentazione come antidiabetico (leggasi: una che ha già superato svariati test di tossicità, il cui sviluppo richiederebbe meno tempo e meno denaro delle altre). L'hanno chiamata #halicin, dal nome dell'AI di 2001: Odissea nello spazio, HAL. La sua efficacia è stata già dimostrata in vivo, con test sui topi, anche contro ceppi tipicamente ostici, come Clostridium difficile e Acinetobacter baumannii.

Meccanismo d'azione§

Sin dai primi test sull'animale, l'halicina ha mostrato di saper contrastare i fenomeni di resistenza in modo fenomenale: di solito dopo un paio di giorni di test, i composti iniziano a mostrare le proprie debolezze, ma questo anche dopo 30 giorni ha continuato a mantenere la propria potenza sul bersaglio. Questo suggerisce che il suo meccanismo d'azione non è tipico e, cioè, che non consiste di un'azione sul peptidoglicano, per esempio, ma su qualcos'altro, perché altrimenti i soliti meccanismi di resistenza si sarebbero messi in moto per fronteggiare la nuova minaccia. Il fatto che il farmaco sia in grado di agire su un ampio spettro di specie, consente di escludere meccanismi particolarmente specifici per gram+ o gram-, quindi in generale dipendenti dalla parete cellulare. Al momento la principale ipotesi è che il potenziale farmaco agisca sul flusso protonico transmembrana della cellula batterica.1

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Comunque questo è solo l'inizio: lo stesso team di ricerca, ha screenato infatti altre 107 milioni di strutture da un altro database ed ha individuato 23 molecole, delle quali già 8 hanno dato risultati positivi nei test in vitro. 2 di questi, in particolare, hanno mostrato una potente attività ed ampio spettro, anche contro forme resistenti di coli.


Cover: Photo by Michael Schiffer on Unsplash

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lascio qui l'articolo di Cell da cui ho preso le informazioni.