Nati e cresciuti in un contesto ricco di vernici e colori d'ogni tipo, iniziati già nell'infanzia all'uso di pennarelli di varia natura, facciamo molta fatica ad immaginare quanto potesse essere considerato di pregio un singolo pigmento ai tempi dell'Impero Romano.

L'industria dei coloranti allora consisteva di fonti animali o vegetali manipolate nei modi più creativi e l'N-bromosuccinimmide non era ancora stata concepita da mente umana.

Tra i coloranti più pregiati vi era il porpora di Tiro, tanto che il suo costo al grammo superava quello dell'oro. L'estrazione del pigmento, infatti, consisteva di un processo piuttosto dispendioso e complesso: servivano 10.000 esemplari di Murex brandaris (una specie di lumache di mare) per produrne un solo grammo. E non bastava semplicemente spremerle in massa, ma bisognava che ogni lumaca fosse lasciata a spurgare, poi manipolata ed aperta con strumenti specifici al fine di prelevare le poche gocce di liquido utili.

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Solo gli aristocratici potevano permettersi il lusso di indossare questo colore: da qui le denominazioni più tarde come "porpora reale" e "viola imperiale", che ricalcano il ruolo di status symbol che ebbe a ricoprire il pigmento, ma forniscono anche una spiegazione al perché mai la specie di lumaca coinvolta abbia sfiorato l'estinzione.

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Il principale componente chimico del porpora di tiro è il 6,6'-dibromoindaco, il quale potrebbe essere sintetizzato con metodi prettamente chimici, ma necessiterebbe di condizioni drastiche e reagenti come l'acido bromidrico il cui impiego viene evitato il più possibile su scala industriale al fine di limitare l'accumulazione di sottoprodotti tossici. Inoltre non è esattamente una passeggiata fare in modo di ottenere un isomero specifico, e cioè fare in modo che l'atomo di bromo si collochi nella giusta posizione, mantenendo al contempo un ridotto numero di passaggi.

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Un gruppo di ricercatori guidato da Byung-Gee Kim (della Seoul National University) ha pensato di superare il problema ingegnerizzando E. coli, cioè facendo esprimere al batterio una alogenasi che rende possibile un processo biosintetico di soli tre passaggi con l'aiuto di soli tre elementi ausiliari: ossigeno, sodio bromuro ed un coenzima. Variando la tipologia di alogenasi impiegata, i ricercatori sono stati anche in grado di sintetizzare altri indaco-derivati, come il 5,5'-dibromoindaco ed il 6,6'-dicloroindaco. Il vantaggio di questo processo è che potrebbe essere scalato con un minore impiego di sottoprodotti tossici.


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