Un chelante idrossipiridinonico che rimuove l'uranio dalle ossa in vivo
Visto il trend di pacifismo ed abbattimento dei confini nazionali di questi ultimi anni, un gruppo di ricercatori cinesi ha ben pensato di ricercare sostanze utili in terapia per eventuali catastrofi nucleari da uranio e ha trovato qualcosa di interessante.
Premessa: avere uranio in giro per l'organismo non è propriamente desiderabile. Anzi, forse non c'è persona che meglio incarni la ligottiana definizione di "pezzi di carne destinata a corrodersi su ossa che vanno disgregandosi" meglio di un paziente che è stato esposto alla radio- e chemotossicità da uranio. Proprio sulle ossa, infatti, va ad accumularsi quasi tutto l'uranio che il corpo non riesce ad espellere e questo porta, tra le altre cose, ad un aumentato rischio di osteosarcoma.
Sarebbe molto utile, per salvare la vita del paziente, ripulirgli le ossa dall'uranio accumulato, nonostante probabilmente questo non sia sufficiente a risolvere i problemi di nefrotossicità, sia acuta che cronica, che accompagnano la condizione patologica. Al momento, qualcosa del genere si fa già, così come lo si fa per moltissime altre intossicazioni da metalli pesanti: si prendono uno o più agenti chelanti e li si somministra al paziente. Un chelante è un agente in grado di catturare lo ione metallico, ingabbiandolo all'interno di un complesso molto stabile a sua volta solubile in acqua (dove per "molto" si intende "quanto basta perché non ritorni in soluzione in condizioni biologiche"), così da garantirne l'espulsione renale. Al momento gli unici chelanti approvati da FDA per l'intossicazione da uranio sono due sali sodici del DTPA (dietilentriammina pentacetato):
- CaNa3-DTPA
- ZnNa3-DTPA
Li ho citati per completezza, ma il nocciolo della questione è un altro; finché l'uranio resta ancorato alle ossa, è necessario utilizzare dosi più alte di chelante per riuscire a strapparlo via, ma più chelante significa anche maggiore tossicità (renale, per la riproduzione e d'altro genere) a causa degli effetti avversi di questi farmaci, che comunque vengono presi come termine di paragone per misurare l'efficacia dei farmaci in sperimentazione. Dato che i sali di DTPA sono più efficaci per attinidi a bassa valenza, come le più comuni forme di ossidazione di plutonio (IV) e americio (III), non possiamo che chiederci se sia possibile sviluppare dei chelanti più adatti al caso dell'uranio.
Il team di ricercatori di cui parlavo all'inizio, guidato da Xiaomei Wang e Xing Dai, si è risposto di sì e si è impegnato per individuare un'altra tipologia di chelanti maggiormente efficiente nella rimozione specifica dell'uranio esavalente. Sono stati individuati dei derivati dell'idrossipiridone aventi maggiore efficacia e selettività del DTPA, la cui efficacia è stata già provata sia in vitro che in vivo, anche per os! .
L'ipotesi dei ricercatori, confermata da calcoli in DFT e analisi NMR, è che il ligando 5LIO-1-Cm-3,2-HOPO sia più affine all'uranio principalmente grazie alla presenza di una carica negativa netta sull'ossigeno del gruppo ossidrilico deprotonato che può formare un forte legame a idrogeno intramolecolare con la porzione ammidica vicina ma che, all'occorrenza, è in grado di invertire il proprio orientamento e coordinarsi con l'uranio esavalente mediante interazioni elettrostatiche a lungo raggio.
Nell'immagine è riportata la strategia di sintesi adottata:
- Sostituzione nucleofila con Br-CH2COOC2H5 a 150° (24 ore)
- Rimozione del gruppo protettore estereo e contemporanea protezione dell'ossidrile con clorotoluene in ambiente basico a 80°C (12 ore)
- Accoppiamento con 2,2-ossidietanammina via NHS/EDC a 30°C (12 ore)
- Rimozione degli ultimi gruppi protettori benzil-eterei (aggiunti al punto 2) mediante una riduzione con palladio / idrogeno a 30°C (4 ore)
Fonti:
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