L'arte di attivare regioselettivamente carboni sp3 in maniera non convenzionale
Sapete cosa sarebbe bello? Potere prendere un legame C-H con la forza del pensiero e farlo a pezzi, così da attivare il carbonio e farlo reagire con qualche altro carbonio fortunato a nostra scelta.
Sarebbe la fiera chimica dei matrimoni combinati. Però non possiamo, perché per rompere un legame dobbiamo rispettare sua santità la Termodinamica che pretende l'autodeterminazione degli atomi e cioè che ogni atomo sia libero di scegliere per se stesso il partner che preferisce tra quello che è imposto dalle leggi della termodinamica e quello che gli è imposto dalle leggi della termodinamica. Evviva la libertà. Quindi l'unica cosa che possiamo fare è convincere la termodinamica ad imporre alla molecola il legame atomico che piacerebbe a noi. Non c'è di che, se vi ho appena spiegato in due righe la chimica. Nella pratica questo compromesso con la termodinamica si fa scegliendo il giusto reagente, il giusto catalizzatore ed assicurandoci che questi possano riconoscere in maniera selettiva il carbonio che intendiamo attivare, altrimenti non si va da nessuna parte e ci viene fuori un miscuglio di roba male assortita.
Ma come possiamo manipolare regioselettivamente dei carboni alifatici sp3 specifici, quando nella molecola sono presenti miriadi di carboni alifatici sp3 che sono pressoché identici al primo in termini di entalpia di legame? Bella domanda, tanto che ha fatto sorgere tutta una branca di ricerca in chimica organica che è votata proprio a comprendere come attivare i carboni impegnati in legami C-H, la quale a sua volta viaggia nello stesso vagone di treno della metallorganica.
Il perché è presto detto: una strategia che potremmo definire "un classicone", è conosciuta sin dagli anni Settanta e consiste nel prendere una molecola contenente un eteroatomo e trattarla con un catalizzatore al #palladio che va ad agganciare l'eteroatomo stesso ed il carbonio suo confinante (quello in alfa, per i più navigati), formando un pentaciclo termodinamicamente favorito. Questo vuol dire che il carbonio che confina con il confinante (in beta) sarà attivato e potrà essere finalmente attaccato da qualche arile alogenato o altro a nostro piacimento.
Quello che hanno fatto i ricercatori diretti da Jin-Quan Yu allo Scripps Research è prendere quella reazione e farla imponendo al palladio di formare un esaciclo, anziché un pentaciclo. Il risultato è facile da immaginare: si attiva il carbonio in gamma, anziché quello in beta, e poter scegliere tra i due può fare tutta la differenza del mondo per una sintesi.
Per riuscire a rendere termodinamicamente più stabile il ciclo a sei, rispetto al ciclo a 5, i chimici hanno pensato di mettere il ciclo a 5 nelle condizioni di essere geometricamente sottoposto ad una maggiore tensione d'anello del normale ma è più facile a dirsi che a farsi, tanto che prima di riuscire nell'obiettivo sono passati attraverso numerosi tentativi falliti o che fornivano bassissime rese.
Ma noi saltiamo tutta la parte pallosa e diciamo che alla fine quello che funziona è un approccio in cui si prende l'alcool (l'ossigeno è l'eteroatomo), ci si fa l'immina o un piridone e questo intermedio maggiormente planare lo si fa direttamente reagire con il catalizzatore al palladio alla vecchia maniera. Il risultato sono rese che vanno dal 60 al 90% e che spesso si attestano intorno al 75%, in base a quanto ho avuto modo di leggere nel paper che vi linko nelle fonti dell'articolo.
E ora? Neanche a dirlo, si sono messi a lavorare sul carbonio in delta, poiché contano di fare la stessa cosa con il ciclo a 6, favorendo il ciclo a 7. Vedremo, ma nel frattempo complimenti a Guoqin Xia, Jiang Weng, Luoyan Liu, Pritha Verma, Ziqi Li, Jin-Quan Yu e a tutti quelli che ci hanno lavorato.
Fonte:
Nature, articolo precedente dello stesso autore, in caso vogliate approfondire
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