Anticorpi monoclonali contro l'abuso di oppioidi?
Quello dell'overdose da oppioidi è un serio problema. Forse più negli USA che qui in Italia, come mostrano i dati, ma è comunque un problema da affrontare. In Italia, semmai, il problema con gli oppioidi è opposto, ossia sono troppo poco prescritti ai pazienti che ne hanno bisogno per irrazionali paure di medici, pazienti e parenti. Ma di questo, semmai, parleremo in un'altra occasione.
Di solito cosa si fa, in caso di overdose? Come insegna qualunque libro di farmacoterapia, si somministra Naloxone, un antagonista ai recettori oppioidi (di tutti i tipi: mu, kappa, delta). Il problema è che il naloxone ha un'emivita bassissima (un'ora al massimo) e quindi va somministrato ripetutamente per mantenere le giuste concentrazioni ematiche ed evitare che il paziente torni alla precedente sintomatologia da overdose, il cui pericolo principale è dato dalla depressione respiratoria. E lo stiamo scoprendo oggi, nel 2019? No, tant'è che hanno lavorato a delle formulazioni a rilascio modificato per allungarne la durata d'azione e anche a degli analoghi ad emivita maggiorata come il naltrexone.
Bene, funzionano, ma da un po' di tempo a questa parte la gente ha iniziato a farsi pure di Fentanyl ed altri derivati sintetici che, come farmaci, sono uno strumento meraviglioso (fondamentali per il trattamento del dolore cronico, nelle anestesie...), ma come droghe d'abuso si rivelano ovviamente devastanti, dato che hanno una potenza tra le 100 e le 10 mila volte (carfentanil) superiore alla morfina; poiché se li auto-somministra gente che non è proprio un asso della posologia, ne conseguono chiaramente esposizioni a quantità assurdamente elevate di sostanza.
Per risolvere la questione fentanyl, i signori dello Scripps Research Institute hanno pensato che potrebbe essere utile sviluppare un anticorpo monoclonale. Prima di passare a fare gli umanizzati (quindi la "versione finale" per la vendita), hanno deciso di fare qualche prova in laboratorio con un metodo molto classico: hanno preso il topo e l'hanno trattato con il fentanyl, sollecitando la produzione di anticorpi anti-fentanyl. A quel punto hanno estratto, purificato, screenato i prodotti e hanno selezionato un anticorpo con un'ottima affinità per il fentanyl stesso ed un'emivita di ben SEI GIORNI. A questo punto hanno fatto le sperimentazioni di rito sul topo e hanno visto che sia i topi trattati con naloxone che quelli trattati con anticorpo rispondevano in maniera simile, con la differenza che l'anticorpo ha una durata d'azione decisamente più lunga. D'altra parte, l'anticorpo ci mette un paio d'ore ad agire pienamente, quindi l'ideale sarebbe somministrare sia il naloxone che l'anticorpo in contemporanea, così da ottenere effetto immediato e lunga durata.
Lato negativo? Siamo sempre lì: anticorpi prodotti seguendo questo principio costerebbero moltissimo, rispetto al naloxone, ma, fanno notare i ricercatori, i costi rimarrebbero comunque decisamente più contenuti di una qualunque immunoterapia antitumorale, che attualmente è utilizzata routinariamente per trattare i pazienti. Non si vede perché i tossicodipendenti debbano essere trattati come pazienti di serie B, se è possibile intervenire con strumenti migliori per facilitare loro l'auspicabile guarigione.
Il titolo, comunque, presenta un punto di domanda non a caso: ancora la sperimentazione è stata condotta solo su topi, quindi dovremo attendere i test sui primati non umani per capire se sbucheranno fuori altre problematiche anche se, va detto, i risultati sembrano assolutamente promettenti e personalmente non vedo grossi pericoli all'orizzonte. Vedremo nei prossimi mesi.
Fonte: c&en
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