Nonostante il mondo ed i suoi abitanti continuino ad andare avanti come nulla fosse, l'antibioticoresistenza è un problema e chi se ne rende conto cerca di affrontarlo. È il caso di Yun He, dell'università di Chongqing (Cina), e colleghi, che sono andati a ripescare dal pozzo degli anni Quaranta le Albomicine, inizialmente denominate Griseina poiché isolate per la prima volta da Streptomyces griseus, microrganismo del suolo. La storia delle albomicine come farmaci non è particolarmente lunga, dato che sono state impiegate efficacemente come #antibiotici in Unione Sovietica negli anni '50, dopodiché il loro uso è stato del tutto abbandonato.

Albomicina

Oggi la storia di questi composti può essere arricchita da un altro evento, dato che He e colleghi sono stati in grado per la prima volta di condurre una sintesi totale delle albomicine. Sì, era difficile come sembra, perché le molecole di questa classe sono piuttosto... elaborate. Da una parte della molecola infatti vi è una struttura tetrapeptidica siderofora (cioè in grado di chelare un atomo di ferro) e dall'altra troviamo una porzione tiozuccherina.

E se solo una di queste parte fosse quella bioattiva?

Mettiamo subito in chiaro un aspetto: la porzione tiozuccherina è molto idrofila, quindi incapace di oltrepassare da sola il doppio strato fosfolipidico della membrana. Pensare di adoperare solo la porzione tiozuccherina come farmaco sarebbe come pensare di usare la testata di un missile senza il propulsore posteriore, quindi del tutto inutile.

Inoltre il sideroforo incrementa l'attività della porzione tiozuccherina sul target di più di 10.000 volte.

Ok, quindi dobbiamo disporre di entrambe le porzioni, ma perché non estrarle dal batterio da cui abbiamo isolato il farmaco? Perché non è che si tratti di coli, quindi è difficile ottenere anche modeste quantità con una coltura di S. griseus. Qualche entusiasta di biotecnologie potrebbe obiettare: ma allora perché non farlo produrre a coli? Nessuno lo vieta, ma in letteratura non si trovano approcci di questo genere, quindi anche in questo caso bisognerebbe sbracciarsi le maniche e lavorare.

Insomma i ricercatori si sono dovuti mettere in testa che non c'erano scappatoie perseguibili, per cui si sono buttati sulla #sintesi totale, mediante un approccio su due fronti. Hanno sintetizzato prima la porzione tiozuccherina, quindi l'hanno attaccata al tetrapeptide. E fin qui non sembra nulla di troppo complesso, ma non bisogna dimenticare la madre di tante fortune (e di tante imprecazioni): la stereochimica. La parte più complessa del lavoro deve essere stata infatti il mantenimento dei sei centri chirali consecutivi del tiozucchero, che i ricercatori hanno ottenuto con una complessa ed intelligente strategia di introduzione e rimozione di gruppi protettori.

Come è ovvio, una sintesi di questo tipo si presta malissimo ad una produzione industriale a fini commerciali, ma è più che sufficiente per studiare e sviluppare analoghi che potrebbero migliorare la SAR (relazione struttura-attività) degli aspiranti farmaci, soprattutto dell'albomicina δ2, che s'è rivelata potente quanto ciprofloxacina, vancomicina e penicillina a seguito di test su vari ceppi di Streptococcus pneumoniae e Staphylococcus aureus, inclusi tre MRSA (quindi parliamo di ceppi notoriamente resistenti). L'albomicina δ2, in ultima analisi, potrebbe essere un validissimo lead per una nuova classe di alleati nella nostra guerra infinita contro i batteri patogeni.